La poesia è un fiume,
tenta sempre di toccare altre sponde e, magari, di confluire in un mare dove le
acque si confondano: lettore e autore, persi in un'unica emozione.
Ringrazio il Prof.
Antonio Magnolo che ieri ha voluto farmi dono di quel mare che entrambi, a
quanto pare, abbiamo azzurrato.
Propongo un suo
commento ad una mia vecchia poesia e mi riservo, in seguito, di pubblicare
altre sue preziose chicche.
Lettera a mio padre
Ad ogni ricordo caro che si desta,
vibrano dolci le corde del cuore
ma a volte la loro nenia cela un pianto.
Nel sorriso soave del giorno che muore
scorazza inatteso un vento impetuoso
antico e lontano
che smuove ricordi, smarrite emozioni.
Per strade gremite di luci e di suoni
di frivole risa e strilli infantili
tra volti ansanti a cui davo un nome
gioiosa – rammenti – mi tenevi per mano.
La voce dei
platani giungeva insidiosa
nelle ombre
fugaci esitavano i passi
folletti
e fatine sbirciavano muti
fiera
avanzavo ma … serravo la mano.
Tra i
volti ansanti ora c’è il mio
la voce
dei platani non l’ascolto più
le ombre
…
mi
destano sempre paura
e quel
vento impetuoso
antico e
lontano
scorazza
indomito a volte nel cuore.
Ti
stringo forte e invano la mano
e sento
pulsare in me il tuo calore.
Da internet: Ogni ulteriore
commento a questo componimento, profondamente umano, ma anche oltre l’umano, altererebbe,
forse, il significato d’un gesto filiale che è tutto un poema d’amore da non
profanare, se e fin dove possibile.
Forse ha ragione l’autore della chiosa riportata a calce di questa
splendida lirica, per questo quanto si va ad esternare non vuol essere
intrusione nei sentimenti dell’autrice bensì una forte corrispondenza del
lettore, forse anche per il fatto che non si è trovato tempo e modo di
esprimere il dovuto affetto di figlio/a al proprio padre. Al calar della sera
si ritrovavano gli affetti familiari, ritornava a casa chi per lavoro ha
trascorso lontano il giorno. Ora è rimasto il ricordo, fuoco ancor vivo sotto la
cenere dell’oblio che “vento impetuoso / antico e lontano” riscopre e
ravviva. Ed è la mano che ancora conserva il tepore, di quando orgoglioso/a e
sicuro/a incedevi
“Per strade gremite di luci e di suoni
di frivole risa e strilli infantili”.
O quando nel viale “giungeva insidiosa la voce dei platani”; “nelle
ombre fugaci” si percepivano presenze di “folletti e fatine” che “sbirciavano muti” ed io “… serravo
la mano.” Vi sono ancora tanti viali avvolti “nelle ombre fugaci”
che “mi destano sempre paura” ed ansioso/a, “e invano”, io cerco
ancora “la mano”, ma egualmente “sento in me il tuo calore”.
Conclusioni … momentanee
Sempre da
internet …
Queste
considerazioni, ad ogni modo, riportano ad un discorso originario che ho
cercato di fare sul mondo di Angela Caccia che, pur rifiutando per natura, un preciso,
ben definito inquadramento correntizio …
Personalmente
rifiuto la pretesa di inquadrare un’autrice che opera nel post Novecento, e
questo non solo perché non ho le competenze richieste ma perché proprio il
Novecento è stato così ricco di avanguardie, correnti letterarie che hanno
inciso tutte nella formazione di noi, fortunati?, che abbiamo visto gli albori
del terzo millennio. Non è possibile, a mio parere, e comunque reputo estremamente difficile
trovare un modo nuovo di far poesia. Per qualche critico, Maurizio Cucchi, la
novità sta appunto nel sostituire la poesia con la prosa, in un connubio che
pure aveva dato esempi illustri, nel passato, in tanti scrittori poeti. La vera
novità sta nei contenuti, ricercati nel proprio percorso esperienziale, per cui
tutto ha la freschezza di vita vissuta, la semplice vita di tutti noi comuni
mortali. E quindi … è l’autoreferenzialità
la nota dominante della poesia dei nostri contemporanei, anche questa splendida
poesia di Angela Caccia.
Non pretendo, certo, che
questo mio modesto lavoro sia esaustivo dell’opera di Angela Caccia, credo però
di aver gustato, centellinandolo, un sorso dal suo prezioso calice colmo di
poesia e di sentimento. Vi ho trovato tre spunti che l’estro dell’autrice ha
colto, unificati per il fatto di essere presenti nel suo vissuto di persona,
madre, figlia:
- Come persona che si porta dietro i quesiti esistenziali del genere
umano, suoi e quindi nostri. È proprio dell’essere umano la mai raggiunta piena
soddisfazione del proprio percorso di vita, vi è sempre qualcosa che manca, c’è
sempre un dubbio che attanaglia. Tutto questo è positivo, perché costituisce lo
spazio vitale che ci spinge all’azione, ci tiene desti, ci tiene vivi, non
assopiti e quiescenti nell’aurea mediocritas. La voglia di scandagliare,
intorno e in se stessi, mantiene viva e costante la capacità di discernimento,
di intuizione, di commozione.
- Come madre nella descrizione di quel misterioso rapporto
madre-figlio/a che da sempre e per sempre è origine e fonte di vita, e nel
percorso per un tratto convergente e per altro divergente che crea carezze e
ferite nell’anima.
- Come figlia nei confronti del padre, che non ha ancora marginato la
ferita del distacco e ne avverte in sé la presenza.
Un’ultima considerazione sulla
percepita musicalità dei versi, ottenuta con un linguaggio che non indulge in astruse
alchimie di tecnicismo poetico. La parola scelta ha le doti della limpidezza ed
essenzialità, giunge dritta alla mente del lettore in assoluta trasparenza
tanto da coinvolgerlo nella percezione emotiva che traduce. Molti testi sembrano
scritti di prima mano, odorano ancora di fresco estro, altri, come nel “Canto
del silenzio” e “Lettera a mio padre”, recano i segni di accorta e
leggera limatura, mantenendo intatta l’impareggiabile freschezza.
Con un dovuto e sentito
grazie, suo umilissimo lettore
Antonio Magnolo
Sogliano Cavour li
28. 01. 2013
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