domenica 30 settembre 2012

Ciò che crea un evento è ciò che è vivo, e ciò che è vivo è ciò che non si protegge dalla perdita di se stesso. (Christian Bobin)


Nascere e morire … un unico e misterioso pianto, dicono. Eppure cambia il sapore delle lacrime. Viene meno una dimensione del tempo: il futuro. Nascere ha in sé un futuro che la morte non ha più. Entrambi gli eventi –sembra quasi che il termine banalizzi, eppure di eventi si tratta ! - sono fette di emozioni dense in chi li osserva da vicino. Facile catturarle, facile la parola, quasi il pennello di un pittore nel suo momento fauve.

La nascita è gioia commossa che esulta intima “Benvenuto al mondo!...”. Quel fagottino tenero è già una fucina di cose buone: un impasto di speranze e affetti. E’ anche una tagliola, scatta al primo affanno, ad ogni  ansia per la sua salute. E’ un progetto e una prospettiva, un riscatto e una vittoria. Domani, solo domani, sarà l’uomo o la donna con una sua precisa identità, e col suo carico di vissuto. Ma adesso, è essenzialmente vita che si ribadisce incessante. In questa natura innocente e crudele, in questo mondo tanto macchiato quanto sporco, è un pensiero felice che si propone come nuova opportunità.

La morte e il suo interland… Non ci è dato parlarne se non filtrandola – quasi esorcizzandola ! - attraverso la paura che irradia. Osservare gli ultimi brandelli di una vita ci gratifica di un dolore particolare che, stranamente, relaziona col sottile. Ecco allora affiorare una parte sconosciuta dell’anima che pareva nicchiare.

Lo scenario è sempre lo stesso. Sui volti di parenti e amici si scolpisce inspiegabilmente la pietà: una smorfia, strana, eppure bellissima nell’empatia che accende, più forte di un legame di sangue. Ognuno è lì, non sa il perché ma sa che così deve essere: è lo stabat inerme di Maria ai piedi della Croce.  Chiunque si avvicina a quel blocco di dolore agonizzante, viene a condividere un silenzio di voci stupefatte serrate in gola.

Incombe a tratti un pensiero: il mio fiato si miscela con quello ormai flebile, faticato, morente... per quanto ancora ? Da lì a breve una foto tratterrà quello sguardo che va a spegnersi, e gli occhi di una lapide mettono sempre malinconia perché non guardano più nessuno.  Il corpo, esangue, è già una culla abbandonata. Incombe un senso di straniamento, di solitudine sola come all’interno di un quadro metafisico.

Difficile da spiegare la morte, il suo perché, il suo esserci e persistere. “Ciò che crea un evento – scrive Christian Bobin - è ciò che è vivo, e ciò che è vivo è ciò che non si protegge dalla perdita di se stesso”. Ma questa, più che una spiegazione, ha in sè la nostra resa incondizionata ad una evidenza.

C’è poi una storia antica che parla di vita oltre, di risurrezione, di eternità. Racconta che nessuno riposa nella morte  ma procede imperterrito nel suo slancio vitale, più vivo che mai. E' la risposta più o meno adeguata a reggere un’illusione e tutto  il suo effetto placebo.

Altre volte, però, è convinzione autentica. Un discorso a parte, di chi scompagina ogni logica e guadagna occhi nuovi per guardare al di là del cielo.

f.to Io


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