martedì 16 luglio 2019

Camminamento n. 7 - Paolo Polvani

CAMMINAMENTI

trincee o scavi, comunicazioni tra opere
fortificate e le immediate retrovie (… praticamente Poeti)


Camminamento n. 7 - Paolo Polvani


 Quello che maggiormente si apprezza -che io apprezzo – in Paolo Polvani è quel suo modo di fare poesia di ogni cosa. Sia chiaro, personalmente ritengo non esista l’impoetico, che tutto abbia la sua patina nascosta di poesia. Ma quello che riconosco a Polvani è una precisa abilità: si accosta ai temi più disparati scavando e spremendone tutto il poetico.
Il verso intriga, accattiva, ha subito presa; le parole sono semplici, immediate: a leggerlo, sembra così facile maneggiare una penna da poeta, eppure quanto studio, letture, fatica …
È lo stile dell’anatra, ne parla nel Meridiano Mondadori che lo riguarda, Raffaele La Capria: a pelo d’acqua la si vede scivolare con agilità, così vaporosa ed elegante nel suo andare. Nessuno direbbe che, appena sotto la superficie, le zampette sono impegnate allo stremo per assicurare tanta naturale scioltezza.

A domanda, ha risposto ...


*Nel discorso di Saint-John Perse in occasione del Nobel si legge: Più che un modo di percezione, la poesia è soprattutto un modo di vivere una vita piena.
Poesia sarebbe una precisa postura alla pienezza, ma questo varrebbe tanto per il lettore che per il poeta. Cosa muove veramente quest’ultimo? L’origine narcisistica della scrittura in genere potrebbe non esaurire la vera motivazione a scrivere versi?

Aspirare a una pienezza di vita credo sia un imperativo morale che riguarda ogni uomo considerato che la vita è una soltanto e che passa, ahimè, con eccessiva rapidità.
Forse per il poeta l’idea di pienezza allarga il suo perimetro, chi scrive ha sempre un tu nella testa, un possibile interlocutore che aspetta nel buio, ed è a questo interlocutore che deve rendere conto del livello della sua pienezza.

Nell’attuale momento storico il poeta deve fronteggiare un violento attacco ai sentimenti basilari di rispetto per la vita, perché una parte consistente dell’umanità coltiva sentimenti di odio nei confronti dei più deboli, dei più esposti.

Gli intellettuali, tutti gli uomini di buona volontà, quelli cui preme che i sentimenti ostili non prevalgano, devono alzare la testa, levarsi in piedi e pronunciare un netto no!
Il poeta deve prestare la voce a chi non ce l’ha.

Al di là di questo frangente, che si spera passeggero, io credo che al poeta spetti celebrare la vita nei suoi infiniti aspetti. Non è simpatico autocitarsi, e tuttavia un verso di una mia poesia esprime sinteticamente e più compiutamente questo concetto quando afferma: - La poesia è un’effervescenza di parole che certifica la gioia di stare al mondo. –

Per svariati motivi al poeta viene spesso associata un’immagine negativa, o forse meglio afflittiva.
È vero, un giorno moriremo, è vero che al mondo esistono ingiustizie, guerre, fame, situazioni orribili. Ma è anche vero che esiste l’essere umano con le sue invincibili bellezze, esistono la natura e gli animali e i sentimenti, esiste l’amore ed esiste l’amicizia. Riuscire a esprimere e far sentire la bellezza di tutto questo assume la forma e la pienezza di un atto che mi piace definire sacro perché evidenzia e sottolinea la sacralità della vita.

*Sembra di sentire, in sottofondo, Saint-John Perse nel suo discorso al Nobel da cui traggo la seconda domanda: Il vero dramma dell’epoca sta nel divario che si spacca tra uomo temporale ed eterno. Se l’uomo si avvia da un lato soltanto non rimarrà all’oscuro dell’altro sentiero? E la sua maturazione forzata dentro una comunità ma senza aver nulla in comune con questa, non sarà altro che falsità?
Per quanto domande retoriche, è ancora un fare da ponte la funzione del Poeta?

Io penso che la modalità procedurale della poesia, come della letteratura tutta, e dell’arte in genere, sia la finzione. Carlo Bo scrisse un saggio importante dal titolo Letteratura come vita. Nel 1967 Giorgio Manganelli replicò con un memorabile Letteratura come menzogna. Questo per dire quanto sia dibattuto e interessante il tema. Credo che coesistano elementi di verità in entrambe le posizioni. Per quanto riguarda la finzione, è evidente che Dante non è mai sceso agli inferi e mai risalito in paradiso, che Anna Karenina non si è mai gettata sotto il treno, che Ulisse non ha incontrato Circe e che il tenente Drogo non è mai partito alla volta della fortezza Bastiani. 

E tuttavia chi ha letto queste opere sa quanta puntigliosa verità si evidenzi nel viaggio di Dante, quanta verità riveli il desiderio di conoscenza di Ulisse, quanta profondità nelle descrizioni dell’agire di Anna Karenina, e quale sospensione e attesa renda identiche fasi della nostra vita con l’attesa dell’attacco dei tartari alla fortezza Bastiani. La funzione della letteratura è quella di indagare l’animo umano, esplorare i sentimenti che ci accomunano, è parlare con la voce delle nostre esperienze. Tradurre i fatti della vita, i sentimenti della vita in parole è praticamente impossibile, eppure quanta verità nelle parole dei grandi della letteratura. Tanto che psicanalisti e psicoterapeuti attingono a piene mani dalle pagine letterarie per spiegare casi clinici complicati. La metafora del poeta come ponte, o interprete, voce di quello che non si può dire, è indubbiamente affascinante. Però mi piacerebbe evidenziare anche un altro aspetto importante della poesia, della letteratura, dell’arte in genere. 
Qual è il motore sociale grazie al quale la storia dell’uomo si è evoluta dalla accensione e custodia del fuoco fino alla esplorazione dei pianeti? Io penso che se non ci fosse stato il poderoso muscolo dell’immaginazione staremmo ancora appesi agli alberi. È l’immaginazione che ci ha permesso di vedere una ruota dentro un tronco che rotola, l’immaginazione ha permesso di solcare i mari e poi i cieli ad imitazione degli uccelli. E l’arte è il polmone che alimenta il respiro dell’immaginazione. La funzione del poeta è anche questa, soffiare sulle parole perché prendano il volo e alimentino il desiderio di immaginare una lingua capace di disegnare un’altra vita, un altro mondo.

* Parlando di stile, per Cioran ogni parola prevista è una parola defunta, Vonnegut, più sommariamente, riteneva che, se una cosa ti sta veramente a cuore, alla fine, le parole per dirla le trovi sempre: pensi che queste indicazioni valgano anche in poesia e per ogni tipo di poesia?

Ho sempre pensato che una buona poesia possiede le seguenti caratteristiche: profuma di vernice fresca, la capisce e l'apprezza la parrucchiera di mia moglie. Per quanto riguarda la vernice fresca si, la poesia deve profumare di nuovo, ospitare sempre l'invenzione, il gusto del gioco, la creatività. Un linguaggio usurato, scontato, uccide la poesia, ne tarpa le ali, e quando la poesia non prende il volo rimane un tentativo, o la poesia vola o non è poesia. 

Per quanto riguarda la parrucchiera di mia moglie è come la famosa casalinga di Voghera, un modello antropologico. Nello specifico la parrucchiera di mia moglie è una signora molto bella, sufficientemente acculturata e che ha molto viaggiato. Voglio dire che la poesia deve essere compresa da persone in possesso di una cultura accettabile, non specialiste, una poesia popolare, che sappia coniugare innovazione, creatività, e resti tuttavia accessibile, e commestibile, e soprattutto digeribile.

*«L'arte - scrive Miller - come la fede, non serve a nulla; tranne che a darti il senso della vita», citazione che, a grandi linee, ribadisce il “debbo “di cui parla Rilke in Lettera a un Poeta: quale dono ti fai scrivendo poesie?

Lo stato di necessità dal quale la poesia origina non riguarda la sfera estetica o etica, ma quella strettamente fisiologica, il paragone potrà sembrare irriverente, ma scrivere una poesia significa liberarsi di un accumulo, svuotare un misterioso serbatoio nascosto in qualche misterioso luogo del corpo e della mente. 
Il regalo della poesia si può riassumere nel senso di leggerezza che ne deriva e nel grado di pienezza relativo al risultato. Esiste anche un livello in superficie narcisistico, ma oltrepassato il puro piacere momentaneo, scostata appena la pelle del verso, specchiarsi dentro le parole è una forma di conoscenza, di indagine su di sé e sul mondo.

Bio bibliografia

Paolo Polvani è nato nel 1951 a Barletta, dove vive. Ha pubblicato i seguenti libri di poesia:Nuvole balene, ediz. Antico mercato saraceno, Treviso 1998;La via del pane, ediz.Oceano, Sanremo 1999;Alfabeto delle pietre, ediz. La fenice, Senigallia, 1999;Trasporti urbani, ediz. Altrimedia, Matera 2006;Compagni di viaggio, ediz. Fonema, Perugia 2009;Gli anni delle donne, e-book, edizioni del Calatino, 2012.Un inventario della luce, ediz. Helicon 2013.Cucine abitabili, Mreditori, 2014Una fame chiara, edizioni Terra d’ulivi, 2014.Il crollo di via Canosa, e-book La Recherche;Il mondo come un clamoroso errore, Pietre vive editore 2017;L’azzurro che bussa alle finestre, Versante ripido 2018.Sue poesie sono state pubblicate da numerose riviste, tra cui: Anterem, Steve, L’immaginazione, Il filo rosso, Atelier, La Vallisa, Portofranco, La corte, L’area di Broca, Le voci della luna, Offerta speciale, Quinta generazione, L’ortica; e su numerosi blog, tra cui: Carte sensibili, WSF, Fili d’aquilone, Poiein, Corrente improvvisa, La presenza di Erato, Poliscritture, La bella poesia, Odysseo. Inoltre sue poesie tradotte in romeno sono state pubblicate dalla rivista Tribuna, e tradotte in spagnolo sulla rivista messicana Monolito.E’presente in molte antologie, tra cui: Dentro il mutamento, edito dalla casa editrice Fermenti nel 2011 e in varie antologie tematiche, tra cui Il ricatto del pane, ed. CFR, Rapa nui, ed. CFr,  e 100 mila poeti per il cambiamento, Albeggi editore, e svariate altre.Ha vinto numerosi concorsi di poesia. E’tra i fondatori e redattori della rivista on line Versante ripido.

Testi


Alcune domande sulla gentilezza



Comporta forse dei costi la gentilezza ?  Attiene
a una quotazione di borsa ? Dipende
da oscillazioni di mercato ?  Qualcuno pensa
che non sia da veri uomini ?  Sia una faccenda
tutta al femminile ? Forse che non ci vogliono
attributi  ?  la gentilezza di un albero
non è il risultato di una forza  ?  la gentilezza
del miele non proviene da una profusione di energia  ?
la gentilezza del sole è segno di debolezza ?
E il vento ? Non è gentile il vento  ?
osservo la gentilezza del cielo e mi chiedo
se esista la possibilità del contagio, se
non  sia da augurarsi
un’ epidemia di gentilezza.






Canzoncina ferrarese



Vi chiedo scusa alberi del viale
di Ferrara, se non vi ho salutati uno
per uno, ma tale era la gioia nel sentire
la sua mano chiusa dentro la mia,
che il piacere vi offuscava, vi relegava
a sfondo.  Chiedo scusa al castello di Ferrara
se non l’ho ammirato con la giusta
devozione.  Nell’acqua vi tremava
il suo riflesso. Appoggiata  al parapetto
lei fumava.  E troppa sete avevo
dei suoi occhi.  Chiedo scusa al duomo
di Ferrara se mi è mancato amore
per la bellezza che regala. Nessun timore:
per sempre  amerò Ferrara e la sua piazza
per i tre baci ricevuti in dono, il cui
ricordo ancora vibra, è una canzoncina
che dentro la testa ora  svolazza.






La parola sole



Sembrava una cosa abbandonata, un lembo
di camicia sollevato, le scarpe d'incerta
qualità,  ma non era una cosa era
un uomo ucciso.  Il telegiornale  ha acceso
una terribile domanda.    Campo lungo
su folla e idranti, blindati e assetto
da guerra.  Siria. Una strada del mondo.

Dove lo custodisce adesso quell'uomo il nome ?
Aveva gambe che lo portavano in una calca
di autobus e occhi che guardavano altri occhi
e a volte il cielo e una voce
che pronunciava semplici parole.

Quante volte la parola sole ?   E acqua ?
Avrà detto qualche volta amore ?
Ora giaceva lì, in una carrellata rapida.





Cattedrali impelagate



A certe cattedrali il mare sconfina tra le gambe,
ne sommerge la bocca, le assedia fin dentro il respiro
e loro masticano piano l'azzurro quieto:
le angosce vi si sciolgono, vi affondano le inquietudini.


Certe cattedrali ce l'hanno appeso al collo
l'azzurro del mare, si cuciono sul cuore
le architetture liquide delle meduse, il perimetro
dei calamari, lo sguardo immobile dei pesci.


Risplendono della gloria eterna delle bifore,
dello squinternarsi delle campane, dei campanili
che si sollevano sulle punte per specchiarsi nell'acqua.





A Pino che se ne va



Così sei morto. Sul pavimento il cacciavite
aspetta le tue mani sporche di grasso  e i colpi di tosse
del motore.

E' nella stanza accanto, dice qualcuno.

Se fosse vero ci daresti un segno: una pinza
che cade, uno sportello che si chiude, una valvola
col minimo rotolio che l'accompagna.
Un colpo sulla scocca.

Ma tu sei morto e tutti ti voltano le spalle, anche i tuoi figli
non ti riconoscono, non riconoscono il tuo silenzio.

Tu continui a guardarli rigirando  un sorriso
stranito tra le mani, impacciato
davanti a tanta incomprensione.

La vita ti ha condotto fin qui e adesso
non sta bene che continuiamo a parlarti

sei sceso senza domandare
sei sceso con la faccia buona
quasi chiedendo scusa

e non c'è niente da ridere
niente da ridere.






Lungo l’Ofanto



Qui trova il suo posto ogni cosa:
la rinfusa dei fiori, la minacciosa
promessa delle nuvole, la strada fatta
di polvere, di orme di passi che sono
una musica distratta, la disfatta
dell’acqua che guarda al mare
come a una salvezza. La sconfitta
dei pesci nell’asfittica pozza.
I voli taciuti della gazza.
L’Ofanto cerca il suo riscatto
in un baratto di pioggia,
nell’erba bagnata nell’olfatto
che restituisca ai barchini
la vista della foce,
aspetta una nuova voce, il suono
di uno scroscio, un rovescio, un tuono.





La tua voce è un passero



La tua voce è un passero, vola
sulla credenza, indugia
sulla sedia, luogo di briciole e tramonti.

Sì, la tua voce è un passero.

Mi grattugia il cuore, spreme
il miele che può illuminare un passero.

Guardala aperta la tua voce, mostra le trame
della notte, i balconi con le tende illuminate,
i silenzi che torturano corridoi deserti.

Con la tua voce preparo una cuccia a misura dell'autunno,
mischio nuvole e ottobre, vento e malinconia,
e chicchi d'uva gialli come gialla è la tua voce.

La tua voce mi si appiccica qui, lungo
il profilo delle colline, sulla linea della nostalgia.

Nella tua voce affiorano le vecchie dita dell'arcobaleno.

Nella tua voce sonnecchia il dolore, come un gatto,
lo addomestichi nel pianto, lo inganni
coi rivoli del tuo sorriso.

Sì, la tua voce è un passero, mi tempesta qui,
col suo piccolo becco arrochito dal mare,
qui dove il cuore perlustra gli uliveti,
insegue il sogno dell'erba docile,
a perdifiato, come a perdifiato la tua voce
corre incontro alla mia fame.