lunedì 13 maggio 2019

Camminamento n. 3 - Fabrizio Bregoli


CAMMINAMENTI

trincee o scavi, comunicazioni tra opere
fortificate e le immediate retrovie (… praticamente Poeti)

Camminamento n. 3 – Fabrizio Bregoli




È poesia dalle braccia tanto aperte quanto preoccupate nello sforzo di dedicare a quella approssimazione il suo specifico abbraccio, lo conferma il minuzioso svolgersi del pensiero nel verso, come a non voler far torto a nessuno: un pittore fauves che dosa mirabilmente di colore il suo pennello.
Se è vero –parodiando Groddeck- che non è tanto il lettore, ma è il buon libro ad analizzare noi, la produzione di Bregoli è una sorta di battistrada ben conscia che l’umano avrà mille sentieri per giungere a meta, ma la sua poesia è tra le strade più luminose.
È una chiusa che scrivevo a gennaio dell’anno scorso, presentando, con mie parole povere, il suo ultimo libro, Zero al quoto. Poesie che affascinano, tanto corpose quanto eleganti. Sua particolarità -o solo una mia sensazione-: a leggerlo si è come risucchiati da un pensiero che si srotola calmo, lineare, luminoso -e chiamo a prova anche questa breve intervista - fino alla fine quando anche tu, lettore, ti ritrovi nella stessa postura del Poeta: ripiegato, su te stesso, a mettere ordine le tante cose che sono balzate dall’anima

A domanda, ha risposto ...

Il poeta scansa il consueto rapporto tra significato e significante perché “intuisce che al fondo della realtà c’è una dialettica mummificata, cristallizzata, congelata, intuisce che ha la possibilità di scongelare questa dialettica e riattivarla secondo parametri propri” (Alessandro Serra, Linguaggio poesia e realtà).
 Si potrebbe considerare la poesia come una efficace riscrittura della realtà solo che il lettore acconsenta a lasciarsi, in qualche modo, destrutturare dal verso e camminare anche lui il paludoso?

La poesia è quella forma espressiva in cui il significante assume un rilievo fondamentale rispetto al significato che è in genere la dominante nella comunicazione quotidiana; la poesia riscopre il valore originario che sta alla base della nascita della parola, la potenza evocativa del suono, la sua suggestione magica o ritmico-simbolica, che ha autonomia propria rispetto alla semantica a cui la convenzione d'uso quotidiano la ancora.
In realtà nella poesia contenuto e forma si fondono in un'unica entità che li riassume e li travalica, li supera secondo un processo analogo a quello della sintesi hegeliana: ciascuna delle due componenti si riscrive auto-negandosi e conferendosi una nuova coerenza ontologica. Per questo la poesia non può mai essere mimesi della realtà, ma ne è sempre un'astrazione o una rappresentazione altra; se preferiamo ne è una riscrittura in cui vengono coinvolti l'interiorità dell'autore, la sua visione del mondo, l'influenza del mondo sul soggetto poetante, la libertà della parola - intesa come soggetto terzo e autonomo rispetto a io e mondo - che si impone sull'intelletto poetante per il tramite dell'inconscio, la dittatura dell'ispirazione, la tradizione letteraria e la comunità delle voci poetiche di cui il soggetto è membro.
Ne deriva un risultato - la poesia - che è quindi multi-diretto e pluri-composto su cui interviene in maniera attiva il lettore, che è protagonista perché vi interviene con la sua interpretazione a riscriverne e rimodularne il senso, conferendo alla poesia una dignità e un compito che il soggetto poetante spesso solo parzialmente ha voluto o immaginato; in questo modo il lettore può tramite la poesia intuire aspetti del mondo che altrimenti non avrebbe potuto afferrare e interiorizzare, avendone solo una visione parziale ex-ante.
In tal senso la poesia può, con la sinergia fra autore e lettore, contribuire a una riscrittura del mondo e del ruolo dell'uomo nel mondo, a un suo disvelamento.

Sono le parole che creano “l’ambiente poetico”. Paradossalmente – ma, tutto sommato, non tanto- il linguaggio poetico sembrerebbe in continua rivolta, e da sempre, contro il linguaggio di “ogni presente” - il più delle volte, retorica che ipnotizza e omologa e standardizza – nella misura in cui cerca di divincolarsi da quel significato che è in genere la dominante nella comunicazione quotidiana, spostandone i confini e, aiutato dal significante, raggiungere la sua forza di persuasione  

Ciò che differenzia la poesia dalla comunicazione corrente è senz'altro l'uso del linguaggio. Riferendosi al modello della comunicazione di Shannon-Weaver la poesia usa un proprio codice specifico che impegna autore e lettore in un colloquio riservato e al tempo stesso condiviso; ogni soggetto poetante fa uso di un proprio codice personale che lo contraddistingue e che può rinunciare all'immediatezza della funzione comunicativa, a tutto vantaggio della priorità che viene assegnato all'esigenza espressiva, all'urgenza poetica. Codice e messaggio sono indissolubilmente legati, è il codice stesso che conferisce valenza poetica al messaggio.
A prevalere nel messaggio poetico (assumendo l'impostazione di Jakobson) sono la funzione estetica e metalinguistica su tutte, la funzione conativa (la poesia non si propone di convincere o trasmettere verità, ma di sollevare domande) e la funzione emotiva (il sentimento anima la poesia ma se prevale rischia il compiacimento auto-consolatorio o patetico) passano in secondo piano (salvo eccezioni). Si rinuncia in linea di principio se non per fini pratici alla funzione referenziale (potrebbe ridurre la valenza universale del messaggio), e del tutto a quella fatica, non tanto perché si assume che il canale di comunicazione fra autore e lettore sia sempre attivo, ma perché la disponibilità del canale è irrilevante: a prevalere è la necessità del codice (tutt'uno con il messaggio dicevamo) che assume intrinsecamente la possibilità di strappi comunicativi, lacune, sottintesi, benefiche omissioni, polisemia.
Non bisogna però assumere che per sua stessa natura la poesia possa vantare una superiorità morale rispetto al linguaggio quotidiano. Indulgere a facili santificazioni o attribuzioni eroiche al ruolo della poesia è pericoloso. La poesia ambisce senz'altro a restituire a una sua autenticità la parola, rivitalizzandone le fondamenta etimologico-ontologiche (e dunque originarie e simboliche) e le suggestioni fonico-ritmiche, ed è vero che la comunicazione consueta (si pensi in particolare al linguaggio burocratico, amministrativo, politico-istituzionale, alla pubblicità) contiene intrinsecamente un elevato livello di falsificazione del linguaggio. Tuttavia la poesia, in quanto espressione artistica, ambisce al suo ruolo estetico (come sosteneva Montale, in ogni poesia c'è sempre un certo grado di artificio, di mestiere poetico); l'onestà della poesia (giustamente rivendicata da Saba) è senza dubbio un'esigenza importante per il sostrato ispirativo ed etico che muovono il soggetto poetante, ma rivendicarla come valore a sé è rischioso e fuorviante (se non auto-assolutorio). Ogni poesia scende sempre a compromessi fra l'esigenza della realtà (e della verità) e la sua pregiudiziale estetica (qualcuno direbbe il bisogno di Bellezza) che può, anche solo marginalmente, deformare o edulcorare la realtà: l'equilibrio è sempre precario. Questo è un tema su cui mi interrogo da sempre, come avviene ad esempio in "Fosse poesia".

Mi verrebbe da dire che, al di là di ogni teoria della comunicazione, chi scrive versi attende il lettore a margine del foglio, se non altro per dargli del tu, affiancarlo, fare insieme qualche passo: per quanto minatore (Giorgio Caproni) un poeta ha bisogno dell’ascolto. Mistero la poesia e ancor più misterioso chi ne scrive! … Siamo una proiezione di tutto quanto abbiamo letto sin ora, sorgenti di luce così accecante da togliere la parola se non fosse per quel quid – narcisismo, solitudine, incontenibile emozione - che ci spinge ancora e comunque a scrivere versi. Pensi che il poeta, di oggi, sia quello di sempre, e risponda ancora a una sete del sostanziale, per dirla con Hegel, e all’etica del devo di cui Rilke in Lettere a un giovane poeta ?

Proprio ieri partecipavo a una lezione su "poesia e perdita" tenuta da Franco Buffoni, il quale correttamente ricordava come per il poeta, rispetto allo scrittore in senso lato, si venga a creare un rapporto più diretto con il lettore che indaga il suo intimo, confrontandosi con lui sulla misura breve del verso: questo è possibile perché il lettore di poesia ricerca un confronto più problematico e impegnativo con il testo, rispetto al lettore di un romanzo o un manuale, e anche perché il bacino di fruitori della poesia ha un cerchio ristretto di "fedeli della poesia" che rende questi lettori più esigenti ed attenti. Il vantaggio della poesia è la difficoltà oggettiva a essere mercificata e serializzata, il fatto di essere esclusa dai grandi numeri la avvantaggia e la preserva (per quanto ormai la sempre più ampia diffusione della poesia su social e web e il naturale spirito narcisistico dell'autore lo possano portare a deviare dalla consegna più importante: la poesia deve essere autosufficiente, si deve unicamente confrontare con se stessa e rifuggire dalla logica del consenso ecumenico, dalla futilità dell'adesione entusiastica, perché la poesia autentica ha insita la logica della durabilità nel suo silenzio, sapersi tenere al margine, fuori dalla cosiddetta visibilità a tutti i costi).
Letture pubbliche, recensioni, premi, pubblicazioni su blog sono tutti strumenti utili per farsi conoscere, ma nulla aggiungono o tolgono alla poesia: ciò che conta è il rapporto istituito fra sé e il lettore e con la tradizione (la storia) con cui ci si confronta, la coerenza e il rigore della propria ricerca. E proprio perché è irragionevole oggi ritenere che un autore di versi (se sia un poeta lo potrà dire solo il tempo) possa trarre qualche vantaggio oggettivo dal suo scrivere (se non l'effimero a cui ci costringe la società contemporanea), credo che l'unico motore che porta a scrivere versi sia un bisogno interiore imprescindibile, la cui causa è per chiunque un mistero. La poesia è uno dei bisogni fondamentali dell'uomo: è una declinazione del nostro respiro, è connaturata all'idea stessa di esistenza.
Le parole che sorgono sanno di noi ciò che noi ignoriamo di loro. (René Char)
Basta, quindi, una resa incondizionata dell’io cosciente per scrivere di poesia e, per dirla con Bonnefoy, «L’uccello varca il canto dell’uccello ed evade»?

Credo che Char, nella citazione riportata, abbia bene espresso il senso della poesia, tutto il mistero che presiede al suo atto creativo. La poesia ci sa cercare e fare emergere di noi aspetti che non avremmo sospettato, ma è al tempo stesso qualcosa di inafferrabile, la parola ci agisce anziché essere agita: non è uno strumento nelle mani dell'autore ma un soggetto agente essa stessa. Come sosteneva anche Valéry, il primo verso è sempre un dono degli dèi, a ricordarci che la poesia sorge da una sua necessità intrinseca e il soggetto poetante vi interviene a nascita avvenuta, aiutando questi versi neonati a crescere, applicandovi la propria poetica che è l'insieme delle scelte formali e della sua visione del mondo, credo e ideali.
In questo senso non penso che la poesia sia solo frutto dell'attività inconscia ma necessiti sempre di un contributo attivo da parte della componente razionale che, volendo sottoscrivere la più antica dottrina filosofica di matrice aristotelica, è il carattere distintivo dell'uomo rispetto agli altri essere senzienti, così come il senso estetico fine a se stesso tipico dell'uomo, deliberatamente ricercato come arte per l'arte, non ha riscontro negli altri esseri viventi. Vero è che la poesia sa però esprimere quel cono d'ombra che la ragione da sola tende a escludere o comunque è impossibilitata a decifrare (il canto che evade di cui parla Bonnefoy), integra la nostra "baseline" razionale emendandola dalla sua logica utilitaristica e meccanicistica: aspetto che la rende tanto più indispensabile nella contemporaneità, prostrata dall'ansia dell'utile e del profittevole. In questa accezione ogni poesia è sempre un atto politico, è sempre motore di cambiamento.
Bio bibliografia

Fabrizio Bregoli, nato nella bassa bresciana, risiede da vent’anni in Brianza. Laureato con lode in Ingegneria Elettronica, lavora nel settore delle telecomunicazioni.
Ha pubblicato “Cronache Provvisorie” (VJ Edizioni, 2015), “Il senso della neve” (puntoacapo, 2016), “Zero al quoto” (puntoacapo, 2018).  Ha inoltre realizzato per i tipi di Pulcinoelefante la plaquette d’arte “Grandi poeti” (2012) e per i Fiori di Torchio il libro d’artista “Onora il padre” (Seregn de la memoria, 2018).
Sue opere sono incluse in “Lezioni di Poesia” (Arcipelago Itaca, 2015) di Tomaso Kemeny, in “iPoet Lunario in versi” (Lietocolle, 2018) e in numerose altre antologie e riviste.
Partecipa a letture poetiche, dibattiti culturali e blog di poesia. È stato membro di giuria nei Premi “Il giardino di Babuk” e “Rodolfo Valentino”.
Ha ottenuto diversi riconoscimenti e premi, fra questi gli sono stati assegnati il premio San Domenichino e Dante d’Oro dell’Università Bocconi per la poesia inedita, il premio Gozzano per la poesia edita, è stato finalista ai premi Montano, Bologna in Lettere e Caput Gauri.
È incluso nel censimento dei poeti italiani del sito Italian Poetry, che si pone la finalità di diffondere la poesia italiana nel mondo
Il suo sito personale è


Testi

MAZINGA E L’UOMO RAGNO

 Passare la domenica allo specchio,
estrarre la sequenza delle rughe      
per farne perno, fingersi più vecchio,
rimpiangere il passato fra le fughe
delle piastrelle sorde ad ogni passo.
Così si sfoglia l’album di famiglia
convinti che ci possa dar la sveglia
con rapidi rintocchi di memoria,
rivedi poi la maschera di Zorro,
lo scudo di Mazinga, l’uomo ragno
gettare la sua tela in bianco e nero
sul volto imbalsamato di chi resta
e in controluce sai, si fa straniero.

È vita trattenuta sulle labbra,
riavvolta sulla spola il lunedì
nella promessa nuova del mattino,
resistere alle code in tangenziale,
fuggire il cannocchiale del vicino,
indovinare il titolo al giornale
espedienti tutti, e ali di fortuna,
sopravvivenza spiccia, da manuale.
Il cellulare piatto sotto petto,
la giacca abbottonata, la cravatta
fanno scordar l’azzurro del costume,
la chiazza di colore, dozzinale.
È tempo d’oggi, d’attizzare il lume
del quotidiano giogo al carnevale.

  
(da Cronache Provvisorie, VJ Edizioni – 2015)



QUEL RAMO

Scruto dalla finestra
come dal più preciso dei cannocchiali
la finestra, identica, della casa di fronte,
i lampioni inclinati, l’asfalto lucido di pioggia,
lo scomposto accostarsi delle zolle
che si perdono nelle fessure della terra,
la calce fresca, la sabbia, i mattoni ammucchiati
e un ramo nel coacervo dei rami, quel ramo.

E sai che non è ramo quel ramo se non lo nomino
come non è parola la parola che pronuncio
ma è la distonia di ogni altra parola
se non la credi vera.
Per questo non so come affacciarmi sui giorni
stretti in questi nostri tempi di tumulti
nel dirupo dei tempi, tempi gravidi
di labbra di ghiaccio secco
di lingue tappezzate di chiodi
di trachee carbonizzate nella roccia.

La scacchiera è sgombra, si richiude sul legno
ma sospetto delle tende, dei vetri appannati,
delle pupille dilatate, della luce volubile.
Altri erano gli spazi su cui sporgersi
con le unghie linde, la saliva impaziente sui denti,
le pietre, gli steli da raccogliere.
Abbasso lenta la tapparella, sugli occhi,
e, con un battito di ciglia superstite, su questa carta
muovo le ultime armate inesistenti.

 (da Il senso della neve, Puntoacapo - 2016)



ELETTROFORESI

M’imponi, necessità inalienabile
reverenziale rispetto del verso
come fosse un sacro crisma, un cristallo
da imballare con la dizione fragile,
t’aspetti assoluzione consolante
di rima ritmo luna amore stelle,
per lo meno l’aderenza al canone
in questa incontinenza dell’esistere.

Nella congerie osmotica del secolo
che vede l’uomo al bivio del suo nulla
non serve un trabocchetto, la fasulla
moneta dell’incanto ad ogni costo,
bisogna distillare il sentimento
disporlo in una curva intellegibile
e farne il diagramma degli stimoli
dargli la giusta coppia, potenziale
impulso e carica, elettroforesi.

Il verso va pressato all’essenziale
sforbiciato, sfrondato con tronchesi,
la nostra persistenza ormai è endemica
s’appoggia a pochi esatti gesti certi:
il cambio gomme, la curva glicemica
il piano di raccolta dei rifiuti
l’adeguamento ISTAT, la giusta diùresi
l’IMU e l’alvo regolari, l’afèresi
del poco che vale, dal tutto vile.

(da Il senso della neve, Puntoacapo - 2016)



FOSSE POESIA

Fosse poesia potrei indugiare
su qualche vezzo cromatico, un radere
di luce tra capelli e volto, indulgere
a un virtuosismo lirico, un pacato
trasgredire metrico, i trucchi buoni
che lusingano in una lana di fiato
stemperano la voce che s’aggruma.

Ma questa scena è minima, assoluta
non si concede appello, assoluzione.
Lui siede agli scalini, tra i piccioni
le gambe lacerate dalle piaghe
intruso tra quei cenci, qui recluso
in un rettangolo di cicche, di sputi
lo sguardo arrovesciato su detriti
di storie, ciò che ne resta tra le unghie
sudice, un bicchiere, stente monete.
Chiede nuda evidenza del suo esserci.

E non serve una poesia, un altro alibi.

 (da Zero al quoto, Puntoacapo - 2018)



COMIZIO AD ACCUMOLI

«Imperciocché come evidentemente
ex art.3 comma 7 bis del regio
decreto al titolo III e per l’uso
invalso e il potere ivi conferitomi
dico sciolta dalla congrega d’atomi
la fattispecie dei presenti, assolti
in contumacia o difetto di norme
visto il parere, letti e vistati -ati
condoni, doni o emolumenti esenti
Cesare a Cesare e dio -Io -Io –Io…
Qui mi unisco al cerchio unanime, esanime
ricostruiremo pezzo a pezzo, pezza
a pezza, pizzo a pizzo, salvo deroga
tranne fiscalità ordinaria, in primis
i familiari, stanti impedimenti
dirimenti - spread vis si sis affinis…
latera et cetera in nomine patris
crucis homo homini lupo de lupis»

La bocca sollevò dal fiero eloquio
quell’orator, negandola ai microfoni,
dal tumulo di polvere e macerie
s’accommiatò con passi lievi e mesti
per doveroso debito cordoglio
(pel garbo che si deve a scarpe lucide).
Poi memore del luminol
il lodo promulgò per ripulire
le impronte degli artigli dalla scena.

 (da Zero al quoto, Puntoacapo - 2018)