venerdì 3 maggio 2019

Camminamento n. 2 - Alessandro Ramberti


CAMMINAMENTI


trincee o scavi, comunicazioni tra opere
fortificate e le immediate retrovie (… praticamente Poeti)

Camminamento n. 2 – Alessandro Ramberti



È poeta cattolico - macigni entrambe le parole, e lui lo sa bene. Del resto, volendo scandagliarle separatamente, un poeta vero, oggigiorno, non può non essere intimorito a porgere i propri versi, conscio com’è dei troppi, tanti giganti sui quali gravitiamo noi nani. Lo incoraggia, in qualche modo, la connotazione di cattolico. In essa confluiscono, certo, la coscienza della propria umanità -quindi, del tradimento, della fragilità, dell’incostanza, di tutta la debolezza che è la prima accezione di 'genere umano' - e la sua fede.
    Fosse solo l’ombra di quel fatidico granellino di senape, è quella fede che ottiene da lui lo sguardo alto alla vetta dov’è la parola pulita del “sì sì e no no”. In un lavoro così laborioso di scavo, abissi crolli risalite: la sua parola poetica si fa tizzone ardente ora lastra di ghiaccio, compagna e nemica, l’angolo in cui nascondersi, il mezzo attraverso cui stanarsi, tutto e il suo esatto contrario… Per certo, reca gli spruzzi di un mare tanto insondabile quanto fascinoso, com’è dalle mie parti nelle notti di agosto, quando cielo e acqua è tutto un firmamento.

A domanda, ha risposto ...

Secondo Withman i grandi poeti non hanno biografia ma destino, e il destino non si narra, si canta. Per Celan, nessuno scappa dalla propria biografia: Il poeta si colloca dentro il mistero dell’incontro, tende a un altro, ne ha bisogno e vi si dedica. Il suo acutissimo senso del dettaglio del profilo del colore dei palpiti, tutto questo -io credo- è il concentrarsi avendo ben presenti tutte le nostre date (dal discorso sul valore della poesia -Meridian 1960).
Ammesso che siano completamente antitetici i due punti di vista, tu da che parte stai?


Direi che esistenzialmente mi sento molto vicino all’approccio di Celan, anche se è vero che poi la poesia dovrebbe volare alto e quindi distaccarsi dal vissuto e dai biografismi e tendere a quella leggerezza calviniana che rende “indipendenti”, acuminate e intrusive le parole, quasi come un ago da agopuntore che sa arrivare con precisione nei gangli di energia giusti, come forse si evince da questi nuovi versi.

Dimmi tu il mio nome

Poche note bastano a disciogliere
le rigidità dei sentimenti
si aprono le braccia al tuo sorriso
pulsano le tempie emozionate

vedi oltre i colori della notte
lucciole vagare nel crepuscolo
senti in mezzo al flusso della brezza
giungerti gli odori del giardino

anche tu sei colma di pensieri
guardi allora in alto e lasci andare
quanti di energia meravigliosa
riempi di bellezza il tuo profondo

calmi la serotina saudade
scendi nel tuo intimo assoluto
ecco che non puoi proprio evitare
l’ampio riecheggiare del tuo senso

ora io ti chiedo gentilmente
dimmi tu il mio nome sì pronuncialo
pure a voce minima inudibile
ecco in cambio questi pochi versi

poveri segnali di un cammino
grazie per avermi accompagnato
dando a loro vita con la tua
suono a questa lingua condivisa.

Versi delicatissimi, rivolti -presumo- alla Poesia…
Se così fosse, nell’ultimo verso la ringrazi per “averti accompagnato” e alludi al linguaggio poetico come a una sorta di esperanto. Allora, mi chiedo e ti chiedo: la poesia è compagna che fa compagnia o - come afferma il filosofo Aldo Masullo in una intervista di anni fa - non smorza alcuna solitudine, tanto meno alcuno può/sa entrare nella interiorità dell’altro ma, in quanto cittadini di questa umanità, un poeta crea fratellanze, sodalizi con altre solitudini -almeno rasentate dal verso, aggiungerei io.


Sì, anche. Possono esser intesi inoltre come rivolti anche a un’altra persona, al lettore stesso, alla propria intimità, alla coscienza. La poesia tendenzialmente crea ponti e varca abissi. Può dunque anche curare solitudini, ma solo come ingrediente terapeutico efficace se viene assunto: deve infatti esserci la disponibilità del “solo” a lasciarsi penetrare, varcare, intridere… un minimo di disponibilità ad aprire qualche fessura, a farsi aiutare, a conservare un briciolo di speranza anche in situazioni schiaccianti e opprimenti, ad avere udito e tatto sintonizzati sul vento libero e potente e al contempo impercettibile e sfuggente dello spirito. Due poesie della mia prima raccolta In cerca (2004) possono dare qualche indizio in questo senso:


Tabor

Sediamoci, ascoltiamo il lato interno
del corpo, contempliamolo così,
senza fretta, attenti alle sue risposte:
e lì, proprio lì dentro il vero germe
della nostra esistenza che desidera
vedere il suo Signore faccia a faccia.


Occasione

La luce è lassù
sulle ultime foglie

ora ci ha lasciato
annullando le ombre.


Hai ragione, sono molti i possibili destinatari di quei versi. A tal proposito riporto una citazione del vescovo George Berkeley “Il sapore della mela non sta nel frutto né nella bocca che lo assapora: serve l’incontro e il contatto tra i due perché la magia avvenga, così è la poesia”
Ognuno, in modo più o meno cosciente, scrive per una ipotetica cerchia di lettori e, tra questi, quelli che leggono poesia -i pochi – forse sono i più difficili. Come immagini il tuo lettore?


Molto bella e vera la citazione di Berkeley. Per quanto riguarda il mio lettore non credo di avere in mente un modello particolare, sono stato sempre sorpreso da chi ritenevo molto lontano dalla mia sensibilità e dai mio essere un dubbioso e alquanto imperfetto credente (un peccatore “misericordiato” come dice papa Francesco) e che invece ha “scoperto” nei miei versi cose che altri più vicini non avevano notato. Propongo un paio di poesie da Pietrisco (2006) che si rivolgono a un tu che può essere anche un lettore empatico:


Ho poco

Ho poco sapere da esprimerti
e se ti parlo è per dar vita in te a me stesso
con una intimità che non richiede
le escursioni della pelle. Perché
se già conosci il mio pensiero
continuo a scriverne?
Mi è nebuloso il tuo: se non lo riproduco
dandogli il timbro della mia voce imperfetta
Tu vigila con affetto alle mie spalle,
deponimi le mani sulla testa
ordina allo spirito di sprofondare nei polmoni
con quel sapore che dà lievito
alle cellule dell¹anima,
colpisci le velari,
proietta le dentali,
annichilisci le sibilanti,
scarifica le liquide
annoda le nasali
e attacca al mio palato questa lingua,
se si compiace dei confini in cui è calata.

Così va il mondo

Come puoi restare qui con me
se già ti appresti a chiudere
la pagina? Il dialogo richiede
una presenza ambivalente:
tu sei per me ed io ti affido
la parte che non ho scritto.

Possa io sparire perché le cose che vedo, non essendo più le cose che io vedo, divengano perfettamente belle. (S. Weil, L’ombra e la grazia) L’utopia segreta -ella ha scritto- che giustifica l’esistenza dell’arte è l’utopia dell’anonimo, della sparizione del nome proprio: “io” è l’ostacolo (Rocco Ronchi).
Sparito l’Io, raggiunta la vetta dell’anonimato, il poeta si farebbe traghettatore di un oltre o, per dirla coi greci, raggiungerebbe l’epopteia  (letteralmente, un guardare al di sopra;  “Il rapporto col dio esige il sacrificio dell’io, la vista superiore. U. Galimberti) quali le vie di fuga dai tranelli della soggettività?


Direi che si viene traghettati a un oltre per grazia più che per annullamento dell¹io: in realtà un io equilibrato è necessario perché è il luogo della responsabilità e della libertà, il fulcro delle relazioni, quello che in esse si dà e da esse è trasformato (se appunto si tratta di un io aperto, empatico, che si fa prossimo). Il poeta dovrebbe essere, almeno in potenza, un fulcro vibrante di relazioni (voglio dire che il linguaggio poetico, se non il soggetto poeta che magari può essere schivo e isolato, è per forza di cose generatore di scambi, di emozioni, diffusore di immagini e visioni), in grado di vedere molto oltre il proprio ombelico, e indicare anche nuovi sentieri e prospettive. Certo, in una visione mistica c¹è l¹unione fra io e Dio, ma a quel punto la poesia ­ che è pur sempre, anche se al massimo livello, espressione linguistica e fatta dunque di suoni, significanti e significati distinti e discreti ­ non ‘serve’ più non essendoci più abissi da colmare e categorie da definire e neanche uno spazio e un tempo da ‘ritmare’.

Riprendo due poesie da Sotto il sole (sopra il cielo) (2012):


Purgatorio

I nomi qui sono sordi
i sogni nuovi
trasparenti

ti trovi e già non sei
più sotto
la corte improvvisa delle stelle.

Jhwh

La tua risposta
è una richiesta

le nostre idee minuscole
come isole sporadiche

pretendono di essere
la vastità del mare.

Bio bibliografia

Alessandro Ramberti <https://twitter.com/faraeditore> (Santarcangelo di Romagna, 1960) laureato in Lingue orientali a Venezia, ha vinto una borsa (1984-85) per l’Università Fudan <http://www.fudan.edu.cn/en/> di Shanghai. Nel 1988 consegue a Los Angeles il Master in Linguistica presso l’UCLA <https://linguistics.ucla.edu/faculty/> e nel 1993 il dottorato in Linguistica presso l’Università Roma Tre <http://www.uniroma3.it/dottorato/2019/linguistica-dott487/> . Ha pubblicato in prosa: Racconti su un chicco di riso <http://bve.opac.almavivaitalia.it/result.php?ocn=(ocolc)955862926>(Pisa<http://bve.opac.almavivaitalia.it/result.php?ocn=(ocolc)955862926%3e(Pisa> , Tacchi 1991) e La simmetria imperfetta con lo pseudonimo di Johan Thor Johansson (1996).
In poesia: In cerca<http://www.faraeditore.it/html/collane/terremerse/incerca.html> (2004, Premio Alfonso Gatto opera prima e altri),Pietrisco <http://www.faraeditore.it/html/siacosache/pietrisco.html> (2006, premi Poesi@&Rete e Cluvium), Sotto il sole (sopra il cielo) <https://www.faraeditore.it/ruach/solecielo.html> (2012, Premio speciale Firenze Capitale d’Europa), Orme intangibili <http://www.faraeditore.it/html/filoversi/ormeintangibili.html> (2015, Premio Speciale Casentino, II class. Tra Secchia e Panaro). Nel luglio 2017 è uscita la raccolta Al largo <http://www.faraeditore.it/vademecum/2-allargo.html>(Premio <http://www.faraeditore.it/vademecum/2-allargo.html%3e(Premio> speciale Cittadellapoesia, III class. Premio Graziano). Con l’Arca Felice di Salerno ha pubblicato la plaquette Inoltramenti <http://www.larecherche.it/testo.asp?Id=250&Tabella=Recensioni> (2009) e tradotto 4 poesie di Du Fu: Paese in pezzi? I monti e i fiumi reggono <http://rosapierno.blogspot.com/2012/09/du-fu-paese-in-pezzi-i-monti-e-i-fiumi.html> (2011). Con la poesia Il saio di Francesco ha vinto il Pennino d’oro al Concorso Enrico Zorzi 2017<http://farapoesia.blogspot.com/2017/10/vincitori-del-concorso-enrico-zorzi.html> . Nel 2019 ha pubblicato Vecchio e nuovo<http://www.faraeditore.it/vademecum/23-vecchionuovo.html> .