mercoledì 12 luglio 2017

Parole di un'anima di Antonio Bevilacqua



Parole di un’anima …  a leggerla, questa silloge, opera prima di Antonio Bevilacqua, ritornano come delle sensazioni: da dietro i vetri guardo la neve scendere, la ascolto, ogni fiocco si unisce al manto e, toccandolo, pare dia voce, per attimi, al silenzio assorto di cui è intriso il suo breve viaggio.

Piccole chicche dove la parola è talmente pesata e dosata che fa subito presa sul lettore -a lui spetta, poi, il compito di fare i conti con l’emozione rintuzzata e portare a finitura quei versi, dentro di sé. È la magia della poesia, la sua universalità: se chi la legge si ritrova, emotivamente gli appartiene, così diventa quasi un dettaglio il nome dell’autore.

Antonio Bevilacqua, un giovanottone di Cutro (Calabria), bello ed empatico, è stato attore “ha soggiornato per un periodo a Roma e nella città eterna ha affinato la sua ispirazione artistica potendo frequentare registi del calibro di Mimmo Calopresti, Pupi Avati, Pasquale Scimeca – importante il rapporto col Maestro Vittorio De Seta”. Ma quando -e se- si approda alla poesia, vuol dire raggiungere la consapevolezza di un’esigenza -congenita o acquisita nel tempo?... –, quella di avere un rapporto più profondo con le cose e, soprattutto, con un io che ha tanto da dire, da trovarsi e scovarsi, decifrare e decifrarsi.

Poeti con cui ha avuto diretta conoscenza e da cui è influenzato: Valerio Magrelli, Franco Loi, Mario Luzi […] Ha pubblicato le sue poesie su diverse riviste e antologie. Da segnalare la pubblicazione sul supplemento settimanale della Stampa, Lo specchio”. Segno che la sua poesia, già da tempo, non passava inosservata.

Il libro, dedicato a genitori adorati, ha i versi più struggenti per un padre che non c’è più, per una madre sempre attenta, amata e amorevole

A mio padre

Sono figlio dell’amore
Di gente umile,
tra terra e canti
ho sognato la tua mano …


Ho il tuo nome
La tua carne;
e non ho ancora le parole
per dirti addio…

Nel passato quelli che ami non muoiono – Brodskij – e questo padre amato torna e respira ancora coi fiati e i desideri del figlio

Voglio essere seppellito
come i padri,
tra le zolle di mare
e la terra fiorita di primavera…

e ancora

La Vita

È un canto cristiano
Questa mia vita,
che mi svegli all’alba
senza più tormentarmi.

Ti aspetto padre …

a mia madre

Madre
tu conosci
il mio dolore,
hai pianto per me.
perdonami

E poi, ancora, poesie in primo piano che hanno per sfondo una Calabria sofferta amata. In un gioco di prospettive, mi torna l’immagine della colonna del tempio di Era Lacinia che, a mo’ di bandiera, si staglia con fierezza su un insolito fondale: un azzurro di mare e di cielo che, indistinti all’orizzonte, si imbrattano

I miei versi
accarezzano
il mare di Pitagora,
e i canti
delle donne
piangono
un dio scomparso,
in una terra
senz’amore …

Il Nostro, come tanti altri meridionali, ha lasciato, tempo fa, casa parenti amici per cercare e trovare una sua dimensione lontano da qui, ma … qui è ritornato. A lui e ai tanti, valgono gli ultimi versi de Il Battello ebbro di Rimbaud

Ma basta, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna mi è atroce ed ogni sole amaro:
L'acre amore mi gonfia di stordenti torpori.
Oh, la mia chiglia scoppi! Ch'io vada in fondo al mare!

Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
Nera e gelida, quando, nell'ora del crepuscolo,
Un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
Un battello leggero come farfalla a maggio.

Dopo aver attraversato, in una magistrale metafora, il fiume e poi il mare, Rimbaud s’accorge che l’unico giacimento d‘acqua importante e vitale, resta la pozzanghera fuori casa, dove un bimbo lasciava galleggiare una barchetta di carta. Così i nostri giovani…



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