sabato 1 luglio 2017

Gabriella Modica -Versante Ripido- su Piccoli Forse


Da Versante Ripido

Esiste un luogo che appartiene al singolo, e che scandisce tutta la sua esistenza, custode e testimone di uno confronto reciproco e incessante fra il materiale, fuori, e il sensibile, dentro.
Ogni umanità gli dà una struttura, lo arreda come farebbe con la propria casa, dove raccogliersi, mettere a posto i pensieri, nutrirsi di ciò che si ritiene più salutare.
Ogni essere umano ha un parametro che stabilisce cosa far entrare e cosa far uscire, e da cosa o da chi è permesso che questa dimensione venga attraversata.
sul vetro appannato disegno
un sole: un cerchio e qualche linea intorno
lo schizzo è basico essenziale
– sarà terso o nuvoloso, lì fuori?
poco importa, al di qua
decido io, sovranamente


C’è chi sceglie una casa con tante finestre che lascino entrare e uscire la corrente da un punto all’altro. C’è chi lascia scorrere i propri pensieri sui tetti delle città, chi riempie gli ambienti di vecchie fotografie, chi preferisce uno scorcio da cui potersi rigenerare alla vista del mare, chi tiene in modo particolare alla illuminazione, chi affida la speranza di nuove vite a scaffali ricolmi di libri che magari non farà in tempo a leggere tutti, e chi, preferendo uno stile minimale, semina qua e là dei promemoria, dei lumini, tanti piccoli lumini. Tanti piccoli forse.
La silloge di Angela caccia è disseminata di tanti piccoli forse, quei forse che possono far crollare ogni speranza di “vivere addosso” all’altro, e che permettono di riconoscere chi, di questi forse, fa un bagaglio leggero e sostanzioso. Qualcuno con cui camminare, crescere,forse qualcuno con cui sopravviversi vicendevolmente ogni giorno un po’.
Queste poesie ci parlano di noi, di quel piano della nostra esistenza in cui non possiamo rivelarci normalmente. È quel piano in cui siamo completi e nascosti, in cui osserviamo e decidiamo della nostra vita e del nostro sentire. Quel piano che non possiamo svelare per responsabilità verso l’altro, perché è considerevolmente più complesso, fragile e potente di quanto la comunicazione ordinaria consentirebbe di reggere. Ed è quel piano cui, forse solo la poesia, o il silenzio possono accostarsi.
La consapevolezza di questa dimensione consente a chi la possiede, di operare a piacimento nuove relazioni tra quei piccoli forse che segnano i picchi, le stasi e le flessioni dell’esistenza e l’immaginario, trasponendoli nella realtà per continuare a vivere.
È così che allora il mare diventa emblematico, col suo sfavillare, tremare, apparire e sparire, e avere un suo proprio odore, come tutte le cose che riconosciamo.
Posta la consapevolezza di questi piccoli forse che come lumini, come post-it attaccati qua e là compaiono periodicamente, la poesia di Angela Caccia sembra cambiare improvvisamente piglio, soffiando poco a poco su ognuno di questi lumini e staccare dalle pareti invisibili del proprio intimo un post-it dopo l’altro, scavalcando ogni incertezza ora nel dichiarare chiaro amore all’amore, ora nel benedire con decisione una vita appena nata, ora, nell’accettare che, costi quel che costi, ogni giorno che nasce è un nuovo giorno di vita.
a mia madre
e sarò io domani a doverti
partorire in qualche modo,
su ogni post–it alle tre la pillola,
la conta delle gocce, un tuo necrologio
maglia a maglia disferò
l’ansia di quegli appuntamenti
ognuno una trafittura nel petto,
da parte a parte
cancellarti da ogni giorno
inesorabilmente
inizierò così ad allattare
il tuo ricordo in un rumore
di ciabatte che
mi cammina dentro

L’uomo è una straordinaria mescolanza di ricordi ed esperienze, di ritorni e abbandoni. E capita non di rado di doverci appigliare a quei momenti della nostra vita che magari quando si sono verificati li abbiamo vissuti con impegno, quasi con fatica, ma che nel fermentare nell’inconscio si trasformano in veri e propri punti di riferimento, insegnamenti cui aggrapparsi. Una dimensione che abbraccia tutto ciò che ha composto una personale esistenza, e a cui confidarsi, nella certezza che l’immaginare corrisponde a un’entità che interagisce

li guardo dormire
uno biondo l’altro bruno
meravigliosamente miei
il mio vento nelle loro vene
dalle torri di sabbia col
secchiello – di appena ieri –
sorridiamo tutti al coro
delle zattere in mare aperto
la vita è il punto di non ritorno
– la grande rivelazione e il grande
inganno – e io credevo d’essere
a una prova, e invece ero al debutto
già settembre e i suoi giorni turchini
rivela il disgiungersi dell’aria, e loro
sono le zattere che tornano, ed io
– fino alla tacca ultima – la sponda

Il vento è un fluido vitale, e attraversa come una vibrazione sonora diversi territori. È il nesso invisibile che infonde e rigenera circolarmente la vita agli affetti, ai ricordi, ai propositi.
In questo poetare tutto ciò che ha vita, ma anche ciò che (apparentemente) non ne ha, in realtà vive di più, perché viene rilevato e riproposto come più-sé, come l’infinito altro che risiede nell’insondabile.
un randagio devoto
la mia casa così accucciata
sulla strada
parole importanti
qui si rompono
e ricompongono,
stampigliate
sulle curve delle
fronti e alle pareti
tutti i respiri – in un tepidario
quelli interrotti, appesi
ad un soffitto basso
l’incerto è a un passo
dal presente, solo tra le sue mura
i tempi dell’affetto.
sfavilla un quadro
sul giallo senape della parete,
perfettamente allineati
sull’immagine gli assi visivi
fa frontiera solo la cornice
obiter dictum: mi è concesso
sapere sin lì, forse – dietro –
il sentiero continua
forse – poggiassi l’orecchio
come ad una conchiglia – sentirei
l’incedere ancora di un passo
barbugliano i forse
per consolarci di un’aporia


Gabriella Modica

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