sabato 25 febbraio 2017

Immagine convessa di Vincenzo D'Alessio



Conosco l’autore e ho aperto questo libro, Immagine convessa – Fara Editore 2017, conscia di trovare all'interno, oltre alla poesia, il sapore del grande romanzo: quel tutto organico che restituisce una precisa atmosfera da cui, tu lettore, non ti divincoli tanto è solida e ben costruita. Un buon libro di poesie -e questo libro di poesie- è come entrare in una casa che ha una sua precisa identità: ne percepisci i profumi, le ombre tenaci e quelle più docili alla luce variabile del giorno, gli angoli già carichi di storia, quelli con pareti pastello pronti a darti il benvenuto e altre dove fanno da protagoniste tende immobili statuarie e, dietro, una finestra che da tempo non si apre più. Un buon libro di poesie ha in sé l’invito ad entrare nello spazio esistenziale di chi l’ha scritto, di chi ha saputo raccogliere nell'unico linguaggio che gli è più consono, i suoi silenzi.

Titolo e copertina -che rappresenta la foto del figlio dell’autore, Antonio, morto giovane e bello -, sono un tutt'uno: l’uno spiega l’altra e viceversa. Non penso esista un genitore che vorrebbe sopravvivere alla morte di un figlio: con lui -il figlio- si spegne il mondo di chi, come un genitore appunto, lo ha amato visceralmente ed ha intrecciato nel bene e nel male la propria vita alla sua; di chi, ora, non sa più che farsene della propria vita così sprogrammata e, per sempre, disarticolata da tanto dolore. A meno che -a meno che …- non si raggiunga un compromesso e, quindi, una sorta di possibile convivenza con una sofferenza accesa sempre, ma che ora si lascia centellinare. Vela ancora gli occhi e ancora deforma l’immagine: ogni immagine, che torna convessa verso l’alto come un calice colmo di tanta appassionata umanità: chiavi di un regno, mappa di tanti orizzonti.

Da pag. 79 (meravigliosa!)

Posso dirti che non mi piace
vederti seduto ad aspettarmi
tra lapidi bianche al cimitero
meglio è sentirti con me
immergere gli occhi nel cielo
limpido delle terre verdi
dove siamo nati, Antonio
concerto di mare verso le sabbie
dorate di Camerota i frulli
salmastri del rosmarino nel vento
ci insegue mordendo i capelli
vieni, i fratelli vicini, mia moglie
ti guarda, quasi spia, la tua dolcezza
che piace a Dio.

Da pag 75

Ti hanno vestito con l’abito
buono, sorridevi baciato
dal tuo amore per la vita
le lunga dita ancora in fiore
come le corde del contrabbasso

Sei bello per sempre di fronte
all’eterno cuore leggero
del tuo sogno: si muore
dormendo dopo una lunga
notte d’amore.

 In quanto esposto prima, la chiave di lettura del libro. Mi accosto ora ad altri argomenti, cari al nostro D’Alessio, precisando che ogni tema non è presentato -e affrontato- da nostalgico, ma da testimone, uno di quelli che teme l’adattamento a ciò che non va, la resa ad una memoria/automatismo senza la vividezza del ricordo; quel testimone, insomma, che non ha fatto il callo a ciò che non va e lo denuncia ancora una volta. Ecco che il verso è una sorta di memento lasciato al vento perché almeno una folata raggiunga e allerti sempre il futuro.

Da pag. 76

Padre Bosco che sei
più in alto siano santificati
i tuoi faggi vengano
le tue sorgenti a rinnovare
le valli sia fatta la tua volontà
uccelli nel cielo fiori sulla terra
dacci sempre il tuo fresco quotidiano
perdona i nostri errori
non ci privare dei tuoi doni
ma rinnovali nell’eterno
delle tue stagioni: Amen!

Da pag. 77

Dove vanno i giovani del Sud
i loro cognomi sparsi
ai quattro venti, gli occhi
spiritati di colore, le mani
calde di lavoro? Sciamano
rondini anonime dal deserto
delle nostre terre
pugni stretti ai fianchi solchi
sulla fronte portano la dignità
dei sogni avuti al sole.

Il Nord del mondo è
tempesta d’odio e di serpenti.
Giovani del sud onore
mai smarrito.

C’è una dimensione che pregna l’intero libro ed è quella della preghiera. Non è tanto l’esplicita devozione a Dio, comunque, molto presente nel Nostro, ma una sorta di condivisione e partecipazione alla Vita di sempre e di tutti, con le proprie umane e precarie capacità, da figlio e fratello - veri e propri legami di sangue da quell’umanità che stilla un dolorepersempre.

Pregare è pensare al senso della vita, citazione di Wittgenstein alla quale fa quasi da rifinitura quella di Martin Heidegger, pensare è ringraziare, come a dire che quando si iniziano a toccare certe profondità si incontrano tanti e tali cieli che il porgersi di un poeta ha sempre un sottofondo di gratitudine e pelle accapponata

Da Pag. 33

La notte è un groviglio di rovi
per gli occhi in preghiera
per mani mansuete al giaciglio
il sole arancio sulle terre
nel sacro velo del cielo
beata te rondine che torni

non sappiamo se figlia
madre sposa della passata
stagione il tuo volo non muore
il nostro cade nel rantolo
antico delle ore.

Da pag. 97

Signore, posso chiederti dove
comincia il cielo dei poveri?
L’acqua del loro pianto è
polvere nel fuoco delle armi
il sangue dei figli è rosa
del deserto, puoi sentire
per amore della tua carne
queste grida?

E termino la mia riflessione che, come altre precedenti, non nasconde un pensiero affettuoso e di stima verso questo Poeta -in privato gli ho scritto che avrei voluto essere io l’autore del suo libro- col finale di una poesia di Paul Celan che ben si adatta a condensare il sapore lasciato dalla lettura

fanno restare senza fiato, oggi,
le mani giunte.



Angela Caccia