lunedì 30 novembre 2015

Le giovani parole di Mariangela Gualtieri



Ragazzi, che bello!... e lo dico con uno stupore che non mi conoscevo… Che bello poter sguazzare nel nitore: un verso dove impera la normalità!

Che bello poter usare anche in poesia questo termine –normalità- che mi allontana dall'istrionico poeta così pieno di sé da farcire il verso di ogni volgarità, a ribadire che lui è l’unico ad usare un linguaggio autentico, lui l’inconfondibile e anche lo sconcio; o dalla poetessa che infila un’accozzaglia di parole cacofoniche strane, e stai con lo zingarelli in mano mentre attendi che spunti il soggetto, l’artefice di questo malanno (lo troverò alla strofa di sotto… no, non c’è, proseguo…) e arrivi all'ultimo verso senza capire con chi ce l’abbia.

Che bello poter ingollarlo quel verso -e non dover usare le mandibole, abituate ormai a triturare con forza- per quanto ti si scioglie al palato, vibrano sinapsi in tutto il corpo. E scoprire che gioia e dolore –in quel verso- non sono sconosciuti che bussano inattesi alla sua e alla tua di porta e ti sconvolgono, ma ospiti trattati con lo stesso riguardo, e ospiti di riguardo: ribadiscono solo e sempre vita nel suo corso.

Spiritualità che si dischiude lenta luminosa, la stessa luce che dalle tapparelle, in estate, sprizza e sveglia, basterà sollevarle per trovare, dietro i vetri, un sole appeso. Sta colorando di mille e mille tonalità le solite cose che cadevano sotto gli occhi, e ora, all’improvviso, profumano di nuovo di buono.

Per quanta normalità, la poesia di Mariangela Gualtieri non riesci a guardarla negli occhi, non si allineano, i tuoi, ai suoi assi visivi. Di lei ti raggiunge la voce ad indicare una direzione, perché è poeta della visione altra, della visione oltre: a due dita sotto la tua stessa terra, a due dita sopra lo stesso cielo.

(A Mariangela Gualtieri)

Foglie di palma piane e placide

-sopra il mento- a reggere la flora

di una pianura

 

mi ricordi un sole di Lipari: usciva

dall’aurora slanciando le sue dita

da dietro un monte

 

c’è uno strano gioco di specchi

nel tuo sguardo, l’iride -in quei

laghi verdi- è un punto di fuga

 

un cunibolo

un lungo corridoio

forse l’abisso

qualunque cosa sia

ti vedo passeggiarlo

 

il passo fermo

non trema nella lanterna

la tua parola.