mercoledì 15 luglio 2015

Il Miele Amaro di Anna Maria Bonfiglio



Di questi versi, il primo sapore è la compiutezza: parole esatte, già soddisfatte di senso, ognuna al posto giusto. A usarne altre, seppure a  commento, il timore che non siano all’altezza. Non si può spargere indifferentemente prosa sulla buona poesia: per quanto la prima abbia canoni propri e l’intento di scandagliare - quindi, come dire, è già perdonata se priva di sublimità –, non può non raggiungere, o almeno sfiorare, la densità del libro di cui vuole raccontare.

Nessuno mai riesce a dare la misura di ciò che pensa, di ciò che soffre, della necessità che lo incalza, e la parola umana è spesso come un pentolino di latta su cui andiamo battendo melodie da far ballare gli orsi mentre vorremmo intenerire le stelle. La citazione - di Flaubert - se conforta me, che mi accingo a scrivere, potrebbe non valere per la Poesia e la Poesia in questione.

Ogni vocabolo ha le sue accezioni, contestualizzato acquista svariati significati, se ci si appiglia all’etimo, dà luogo ad altre e sottili diramazioni di senso, ma la poesia, si sa, non è solo - e non è tanto - un contenitore di vocaboli. Nel suo porsi – che sta in musica e ritmo, nel felice accesso alle tante figure retoriche di cui si nutre – è foriera di un senso che, non necessariamente, passa da un canale razionale per giungere straripante di vita al cuore - nostra regione emotiva, unico interprete. E la Bonfiglio, poeta ben conosciuta, ha da sempre chiare le coordinate di quel percorso.

Già il titolo, Miele amaro, compie il suo dovere: depista il lettore, lo intriga, quasi lo strattona alla ricerca del senso criptato. L’ossimoro ha un che di feroce per quanto estremi i due termini, ma è la cifra di tutto. Di seguito alcune liriche – un qualunque stralcio sarebbe stata una grave menomazione: vanno gustate per intero!

LA CASA

Chissà chi verrà dopo di me
ad abitare queste stanze
chi si sveglierà all'occhio del sole
e s'addormenterà con lame
di luna disegnate sul letto.
Qualcuno girerà per la casa
dirà ch’è bella o brutta
ma non udrà le voci
rimaste attaccate sui muri,
non saprà che l'umido alle pareti
è il segno lasciato dal pianto
nei giorni dei tanti abbandoni.
Spazzerà via le inutili orme
di un passaggio qualunque
e raschierà le ombre
di un tempo che non gli appartiene.
Sarà utile allora
svestirsi per tempo di tutti gli addobbi
e lasciare che l'anima -nuda-
si volga all'Eterno.
NON BASTA AVERE AMATO

Sono andati via tutti.

Inutilmente le sedie mute
spalancano le braccia
e invano i colombi picchiano ai vetri
per avere risposte.
Le voci giovani trascorrono
lontano il loro tempo
bisogna scavare a fondo nella terra
e pulire bene le zolle
per ritrovarne l’eco.
Oh, sparuto popolo d’elfi
che da solo
formavi una schiera celeste
nell’ombra del mio bosco,
non basta avere amato
per sigillare gli occhi
della malinconia.
IN ALTRO LUOGO
                                  (a mio padre)

Muti d’abbracci i nostri giorni
si persero nel tempo di un respiro.
Vicini nella resa
 ci prendemmo le mani
-fievoli le tue,  percorse
da ingrossati rivi pallidi,
le mie rapaci, ancora a reclamare
crediti legittimi e insoluti.

E’ un’altra volta autunno
e nell’umida luce
che taglia il silenzio della stanza
torni anche tu
 nella quietezza antica che mi manca.
Potessi avere almeno la certezza
di ritrovarti ad aspettarmi
-quando chiuderò per sempre la mia casa-
e insieme finalmente camminare.

LIBERTA’

(A Neda Agha-Soltan, uccisa in Iran nel 2009
durante una manifestazione pacifica)


Neda respira gli angoli di strada,
veste la tunica del sogno
per una libertà sempre negata.
Neda senza bandiera né fucile
attraversa la storia nel silenzio
-vita spazzata via come di topo
fuggito dalle fogne.
Neda fra le braccia di fratelli
sconosciuti -occhi di lava spenta
fiore di sangue stretto fra le labbra
e grida prigioniere.

Riconosco dai passi
i gatti che si rincorrono
sui tetti
Equilibrista anch’io
percorro i fili
che lasciano le stagioni

*
Oltre i confini della notte
vanificati sogni
schiusero gli occhi all'alba
Dal nudo ramo a cui s'era impiccato
risorse nuovo il giorno

*

Aspetto ancora uno stridio di ruote
sull’asfalto e spio ritorni
che non m’appartengono
( da qualche tempo vivo
di piccoli furti
che non mi perdono)

*
Fin dal titolo, dalle alture di ogni lirica – fosse per me, riporterei per intero il libro perché questo mio dire sia pienamente confermato dal lettore - un costante e nitido fotogramma: la vita, un colorato chiaroscuro tanto imperativo quanto inesorabile. Non c’è luce senza l’ombra che la circoscriva, non c’è bontà bellezza allegria amore, senza il suo esatto contrario. Ed è nella misura in cui si accetta questo dato incontrovertibile, che si inizia a costruire e a costruirsi nell’armonia, sinonimo di equilibrio, la connotazione prima di chi ha imparato a vivere perché della vita ne ha acquisito il segreto gusto e, a ben vedere, un’autorevole saggezza – del resto, i due termini, gusto e saggezza, sono tra loro imprescindibilmente legati: sàpere, in prima battuta, significa “avere sapore, gustare”.

Ci sono due filoni di pensiero riguardo il modo di interpretare la letteratura in genere: chi ritiene che la biografia dell’autore – di solito, la parte più travagliata - serva a comprenderne pienamente l’opera, e chi, invece, la considera inutile, addirittura deviante. Sono dibattuta a riguardo: non si può prescindere dal pensiero di Karl Jaspers sull’arte “ogni perla è il frutto della malattia della conchiglia, ma non ogni malattia produce una perla, e in ogni caso non è la malattia che si ammira nella perla”. Sta tutta qui, in una metafora, la radice dell’universalità della poesia stessa.

Ma anche se fosse, la poesia di Anna Maria Bonfiglio – e quella sapienza che da essa si sprigiona - non abbisogna di alcuna lente biografica per trovare, in chi la legge, un suo spazio che ora sa di rivelazione ora di conferma, e tutto in un così raffinato linguaggio. Semmai, un particolare di lei, in me – in tanti  -, assurge al bagliore di un faro. Se è vero che il viaggio verso la scoperta, non necessita di nuovi paesaggi, ma di occhi sempre nuovi (Marcel Proust), quelli di Anna Maria Bonfiglio, che scrutano e declinano, amano e soffrono, che vivono tutto il vivibile da una sedia a rotelle, sono perle inestimabili per quanto chiarore gettano sul cammino di ognuno.