martedì 24 marzo 2015

Castigat ridendo mores?...



Dicono giovanissimi -e finti giovani -critici letterari che la poesia è tale se esprime uno stile così originale da non riflettere, nemmeno lontanamente, quello di un poeta doc. 
Il che lo trovo giusto, ma solo in linea di massima: dove sbaglio se affermo che siamo COMUNQUE il risultato di ciò che abbiamo letto e amato? Che quanto resta addosso viene filtrato e mesciato con l'io -più o meno - colto e, infine, impastato ad un vissuto che, vivaddio, non e' mai in fotocopia?

Ciò premesso, mi capita di leggere versi talmente incomprensibili - ma fedeli ai dettami dei critici di cui sopra, tant'e' che il limite tra originalità e stramberia è molto labile - che di questi non mi rimane neanche un vago sapore. Il limite, mi dico, e' solo mio, mi attrezzo a colmarlo ed e' allora che … mi impicco da sola:


Leggo versi
m’annoio e leggo versi

tra un se e un ma 
molte volte omessi
oceani da fiumi di parole

e poi
l’esca dell’autore:
stramberie,
dal latte di gallina
al sesso d’angeli
né manca l’oscenità
di circostanza a mo’
di linguaggio innovativo

… abboccherà
il raffinato critico lettore?

Lui
che coglie Majakovskij 
redivivo o reconditi
proustiani in pure
stravaganze
scrive in tale critichese
che l’Arno 
- mi perdonerà Manzoni! -
si autoprosciuga
pur di non lavarlo.

E vedo la poesia
che corre
con la ciambella ai fianchi
a tuffarsi nel bianco
di pagine circostanti.

C'e' qualcosa di diabolico in tutto ciò, e alludo all’accezione etimologica dell’aggettivo: diavolo, da diàballo, colui che separa. 
Si è infatti disposti a (s)vendere "la fatica di essere se stessi" per il piatto di lenticchie che irreprensibili critici sapranno offrire (ma anche queste - le lenticchie – dovranno, quantomeno, risultare altrettanto originali: raccolte ad una ad una, da un primigenio quanto singolare albero).

Un sorriso...