Tre rosai impettiti
scoppiettanti di bocci
mi guardano dal balcone
li trattengo nello sguardo
ancora muto il pensiero
da giorni vola basso
bisognerà che scavi
nelle consonanti
associare al suono
odore immagine canto
annaffiare parole
che tornino a rifiorire reali
nella penna
tra le mani
camminare a ritroso
magari sulle orme di ieri
quelle che l’onda ritraendosi
ha risparmiato
cercare il mio centro
forse abbandonato
scorato da litanici
lamenti
sulle conchiglie scartate
sui sassolini di sole
nel vento che patinava il viso di sale
… chiedergli perdono e perdonarlo
tornare a inginocchiarsi
rizzare il tratto umano
dove fratello è un preciso spazio
ripetere più volte
Padre Nostro Padre
nostro
senza mai disgiungere
l’aggettivo dal nome
ricordarsi di riposare
la meta un’illusione
una carota per riprendere il viaggio
accompagnarsi al pensiero
di quanti –dei pochi dei grandi-
è nota l’ostilità di una parola
priva di ossa e quanto vuoto
attorno fa tracimare.